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Pescara e case popolari: attenzione alla rendita catastale

Se si vuole fare domanda per ottenere degli alloggi popolari, è bene accertarsi di non essere proprietari d’immobili, anche a rendita catastale molto bassa (inferiore ai 100 euro). O, altrimenti, verificare che questo possedimento non comprometta la domanda. Il motivo di questo eccesso di scrupolo è evitare di avere brutte sorprese dagli enti deputati all’assegnazione delle case popolari.

 

È quanto successo a Pescara: a 437 famiglie che da tempo risiedevano in questo tipo di locali è stato ingiunto il pagamento di arretrati di affitto da parte dell’Ater, l’Azienda territoriale edilizia residenziale. L’ente lo ha comunicato agli inquilini dopo aver fatto un controllo e aver scoperto che questi erano proprietari di piccole porzioni di terreno e ruderi, quindi non nullatenenti come inizialmente dichiarato. Secondo l’Ater, la cifra che gli inquilini devono è in media di 5mila euro.

 

L’ammontare dell’affitto è disposto dall’articolo 25 della legge 96 del 1996, che disciplina le “norme per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e per la determinazione dei relativi canoni di locazione”. È appellandosi a questo articolo che l’Ater ha chiesto l’integrazione delle cifre poiché gli inquilini, risultando proprietari d’immobili, non hanno più diritto al canone sociale. Gliene viene così attribuito uno molto più elevato rispetto al loro reddito effettivo.

 

A chiedere informazioni e a protestare sono intervenuti i sindacati Cgil e Sunia (Sindacato Nazionale Unitario Inquilini e Assegnatari): la loro difesa a favore degli inquilini consiste nel fatto che si tratta di persone che decenni fa si sono allontanate dalle famiglie d’origine per avere più possibilità lavorative nell’entroterra, dove hanno fatto domanda per ottenere le case popolari. Una volta deceduti i parenti, queste famiglie hanno ricevuto in eredità dei piccoli possedimenti a rendita catastale molto bassa (inferiore a 100 euro) o a reddito dominicale (che deriva cioè solo dal possesso, senza che se ne ricavi un reddito da attività).

Nella precedente legislatura i rappresentanti sindacali hanno chiesto e ottenuto dal consiglio regionale una legge interpretativa dell’articolo 25. In questo modo si consideravano valide le domande di richiesta di case popolari, anche se i richiedenti risultavano proprietari o usufruttuari di beni immobili.

L’Azienda territoriale per l’edilizia sociale, tuttavia, ha rifiutato questa interpretazione, sostenendo la non retroattività della legge. La cifra che l’azienda deve recuperare supera il mezzo milione di euro, tenendo in considerazione arretrati di non meno di 1200 euro a nucleo. Le famiglie, quindi, dovranno pagare dai 5 ai 12mila euro. L’Ater ha anche proposto una dilazione del saldo fino a 48 rate, ma anche così per molte persone sarà molto difficile riuscire a estinguere il debito.